Moderno desiderio Fotografia e immaginario popolare Terra di Bari 1945/2021

A cura di Luca Molinari Studio con Michela Frontino

01-20/09/21 Teatro Margherita, Bari

Da mercoledì 1 a domenica 19 settembre ore 10.00-13.30, 16.30-20.00 (solo mercoledì 1 settembre dalle ore 18.30 alle 20.00)
Presentazione al pubblico: sabato 4 settembre ore 17:30.

Catalogo Off the archive Edizioni

Una Volkswagen Maggiolino che si muove nell’acqua, mezzo anfibio inatteso, guidato da una coppia di amici molto divertiti da questa strana avventura; un’anziana signora che posa davanti al suo televisore, scatola dei desideri che è entrata nella casa insieme ad altri oggetti del futuro; una giovane coppia che posa davanti al mare durante una gita domenicale, sullo sfondo decine di nuove costruzioni di “civile abitazione” che stanno sorgendo lungo la costa. Sono tutte fotografie tratte da album di famiglia e realizzate a Bari e nel suo territorio tra gli anni Sessanta e Settanta in quello che oggi noi chiamiamo “boom economico” e che ci raccontano di una società felice, ottimista perché la guerra è finalmente alle spalle e c’è lavoro per tutti, sedotta dai nuovi elettrodomestici e dalle macchine fiammanti che stanno invadendo i loro paesaggi domestici. A questo infinito corpus d’immagini si affiancano i lavori di almeno due generazioni di fotografi baresi che hanno registrato con lucidità il cambiamento materiale, simbolico e culturale di un territorio che non era solo definito nei suoi caratteri, ma che si faceva immagine universale di una metamorfosi più globale e pervasiva.

 

Descrizione delle opere

 

«Nant’la port» e «Polignano»

di Domenico Notarangelo (1930-2016)

Domenico Notarangelo nasce a Sammichele di Bari, in Puglia, il 6 marzo del 1930 ed ivi trascorre gli anni dell’infanzia e della prima giovinezza, maturando sul campo l’innata passione per il racconto fotografico. Nei primi anni Cinquanta si trasferisce a Matera, ove è stato attivo protagonista della vita culturale e politica proprio quando veniva riscoperta la Questione meridionale. Giornalista e dirigente politico, dai primi anni Sessanta del Novecento ha contribuito a costruire un’immagine nuova del Mezzogiorno, attraverso le vicende che non hanno fatto la storia ufficiale, ma che hanno certamente intessuto la trama di ciò che siamo noi oggi.

Queste fotografie, scattate nei primi anni Sessanta, rappresentano il tentativo del fotografo di tessere i fili della memoria con il natio Casale, indagando la profonda appartenenza ai luoghi dell’infanzia, vissuta in una famiglia antifascista, di antiche origini contadine. Nel suo reportage Nant’la port, dedicato a Sammichele di Bari, rivivono le donne accomodate sul «pisolo» in pietra, intente alla «scardatura» della lana, alla mondatura delle fave, alla sfregatura del formaggio, alla sbucciatura delle mandorle. Echi di una cultura locale ancora fervida, mentre lentamente la città cambiava aspetto. Nel paese murgiano, così come sulla scogliera di Polignano, le automobili e le nuove costruzioni documentano il corso di un cambiamento, l’imminenza di nuovi stili di vita e di nuove visoni del mondo.

L’archivio di Domenico Notarangelo è diventato nel tempo uno scrigno d’immagini rare e una riserva ricchissima di testimonianze di vita e di cultura. Esso consta di oltre centomila documenti fotografici, principalmente in bianco e nero, di filmati e inoltre di libri, manifesti, documenti cartacei, opere d’arte e cimeli di varia natura. L’aspirazione del fotografo di farne dono alla collettività, perché possa essere utilizzato al fine della ricerca storica sulla Basilicata, la Puglia e il Mezzogiorno in genere, appare coerente con l’idea granitica che ha animato la sua opera in passato, quella di costituire una memoria storica visiva[1].

Archivio fotografico «Album di famiglia»

«Bisogna che le parole, comparazioni e segni creino un contesto per la fotografia; devono cioè indicare e lasciare aperte diverse vie di approccio. Intorno alla fotografia si deve costruire un sistema radiale che le consenta di essere vista in termini allo stesso tempo personali e politici. In questo modo potrebbe realizzarsi un uso alternativo dell’immagine, non finalizzato a dimostrare o a documentare l’immobilità del presente, ma che incorpori la fotografia nella memoria sociale e politica, invece di usarla come sostituto che ne incoraggia l’atrofia (John Berger, Sul guardare, 2009)».

 

Il progetto che ha dato vita all’archivio sulle memorie familiari pugliesi è ancora in corso e intende raccogliere e catalogare immagini con il fine ultimo di riflettere sulla memoria privata e marginale del presente, ponendosi come base e strumento di lavoro della ricerca contemporanea. In tale prospettiva, la raccolta e la lettura delle immagini d’archivio, guidate dalla consapevolezza della distanza storica, generano nuovi contenuti sulla società e sulla cultura contemporanea, fino a influenzarne l’espressione artistica. Con tale approccio, l’archivio Album di famiglia comprende documenti “immateriali” in quanto non fisico, ma costituito dalle riproduzioni digitali delle fotografie private, condivise dai partecipanti a percorsi formativi ed eventi espositivi itineranti. In queste iniziative la donazione delle fotografie è seguita da attività di catalogazione e digitalizzazione, fino alla costruzione di concept artistici che coinvolgono l’immagine del passato come guida del presente.

 

www.offthearchive.it

 

«Trani»

Testo e immagini di Carlo Garzia

 

Walter Benjamin sosteneva che le città sono omogenee solo in apparenza che il solo modo di pronunciarne il nome ad alta voce poteva modificarne la percezione e la risonanza nella memoria. Tutte le città sono «invisibili» perché solo nei sogni sarebbe possibile percepirle nel loro essere «ab origine» e solo percorrendole incessantemente letteralmente penetrando in esse se ne possono cogliere i confini. Chi vuole conoscere una città dovrebbe essere pronto a fare un viaggio nel tempo oltre che nello spazio perché i segnali che essa ci manda sono troppo oscuri e spesso contraddittori. Questa esperienza del luogo che comunque non lo esaurisce è concessa solo al flâneur che non conosce l’ansia di arrivare, intuisce i complessi giochi del caso vi si adatta senza problemi e scopre quel «meraviglioso urbano» di cui parlavano i surrealisti e lo scopre soprattutto nelle cose apparentemente più insignificanti. Il fläneur urbano diventa così co-dilettante e il soccombente una delle figure chiave della modernità definita da Benjamin. che poi nella sua opera Immagini di città cercherà di definire meglio questo tipo di riscrittura dello spazio in cui abita l’uomo, mescolando l’osservazione diretta con la memoria personale. Il limite stesso di una città non è più costituito dalle sue periferie ma dai bordi dello spazio-tempo realmente esperito e vissuto. Se Benjanin fosse passato da Trani, sicuramente le avrebbe dedicato qualche pagina come a San Gimignano dove vede che il limite, a perdita d’occhio, è quello delle colline toscane i cui profili si perdono in una lontananza indefinita mentre a Trani lo avrebbe trovato nel mare che riesce a trasformare una imponente cattedrale in un faro di luce opalescente e come sospesa. Una massa liquida e un blocco di pietra che si fronteggiano e che è possibile percepire da un’area appena più in alto, quella della villa comunale,
Le immagini che propongo non vogliono né possono avere nessuna valenza documentaria, sono segni, metafore, visioni, alcune erano presenti nella grande mostra «Viaggio in Italia» che Luigi Ghirri organizzò nel 1984 e che segnò una tappa fondamentale per il rinnovamento della fotografia di paesaggio in Italia. Devo infine ammettere che per me sono anche un atto d’amore nei confronti di Trani e un invito a non farla diventare un paesaggio di cartone, seguendo quella deriva turistico-disneyana che altri luoghi della nostra regione hanno ormai scelto.

 

 

«Altrove»

di Francesco Saverio Colella

 

Immagini tratte dalla serie realizzata nel popoloso quartiere Libertà di Bari.

Il progetto fotografico prova ad indagare le vie del quartiere con una sequenza di rimandi visivi, volti a riflettere sulla sua condizione e su quella dei suoi abitanti: collettore culturale ma allo stesso tempo custode di una genuina tradizione, attraverso un percorso dove elementi, assenze e presenze si alternano tra loro, il Libertà si mostra nei suoi aspetti a volte incerti, dovuti ad uno stato di latente precarietà.

 

 

«Villa Eden»

di Piero Percoco

 

Un territorio è mappato nella nostra immaginazione tanto quanto lo sia già nei nostri occhi. La giovinezza è il treno perduto che può riportarci ai ricordi annidati nei nostri sogni. Ma i territori della mente sono spesso oscurati dagli standard sociali, uccidendo la spinta a raggiungere una terra di pura libertà.

La Puglia, come altri territori europei, vive di un senso di stagnazione culturale, con il progresso sociale nell'agenda di Dio. Gli stili di vita, nati in un focolaio della cultura hippie degli anni '70, sono sparpagliati qua e là sul territorio. Gli individui con un venerato senso di giovinezza sopravvivono in una regione, dove la mancanza di emancipazione ideologica rimane la norma. Tra questi sopravvissuti ci sono Maria e Lorenzo. Lei, ex modella, ha costruito una casa attorno a due pilastri; una passerella, e lo sfarzo che si ritrova nelle tonalità delle sue origini territoriali. La coppia, unita da un senso di curiosità sfrenata, si è auto-prescritta una vita di viaggio alla ricerca dell'eterna giovinezza. Le loro scoperte sono curate insieme alla loro fioritura intrinseca, sotto questo tetto rosa in Puglia.

 

 

Ricerca8

di Teresa Giannico

 

Il progetto utilizza la fotografia per la sua resa descrittiva, ma che lavora più vicino all’idea di pittura. Gli interni della serie sono progettati in modo tale da amplificare il paradosso visivo ottenuto talvolta con la progettazione di ambienti domestici che accentuano il contrasto con le installazioni, altre con contesti più onirici in cui forme, volumi e luci agiscono in continuazione con gli oggetti in scena.
Gli elementi presenti nelle immagini,  selezionati da internet, sono oggetti di uso quotidiano che decontestualizzati perdono il proprio significato intrinseco e ne assumono uno nuovo per cui superfice, materiale e colore concorrono unicamente all'equilibrio della composizione.

 

«Nebulae»

di Ilaria Ferrara

 

L’80% della densità demografica mondiale e il 99% statunitense ed europea vivono sotto

un cielo inquinato da luci artificiali. La via lattea, dichiarata dall’Unesco Patrimonio

dell’Umanità, è invisibile a oltre un terzo della popolazione. Gran parte di essa ha affermato di non aver mai visto un cielo pieno di stelle. L’inquinamento luminoso è una delle forme più diffuse di alterazione ambientale. La luce artificiale si propaga per centinaia di km dalla sua sorgente danneggiando in questo modo i paesaggi notturni.

 

La metropoli di Bari, a seguito della grande estensione urbanistica degli anni Sessanta e Settanta, è diventata nel tempo una delle città con più inquinamento luminoso in Italia. Nebulae rappresenta l’agglomerato di nebulose diffuse sopra i complessi cementificati del quartiere barese Poggiofranco. Questa fotografia mostra come vedremmo il cielo sopra la città se le sue luci si spegnessero. Riusciremmo, meravigliati, ad osservare il cielo trapuntato di stelle come non l’abbiamo mai visto.

 

Foto galassia:

Soggetto: IC 1318, fa parte del grande complesso nebuloso molecolare del Cigno, una delle

aree nebulose più grandi e massicce della nostra galassia.

La foto è stata prodotta ed elaborata nell’area metropolitana di Bari, con una camera Astronomica montata su un telescopio e una montatura equatoriale. Il filtro a banda stretta Halpha, montato tra la camera e il telescopio, ha permesso la registrazione delle onde luminose dell'idrogeno (elemento base di questo tipo di Nebulosa), bloccando per la maggior parte tutti gli altri di tipi di onde.

 

Fotografia realizzata con la preziosa collaborazione di Saverio Vicanolo, Michele Bartoli e Giuseppe Columbo.

 

 

[1] Fioralba Magno, L’Archivio fotografico Notarangelo: «Paese scomparso» di Puglia e Lucania tra processi di trasformazione e ricerca d’identità, Archivio di etnografia, 2020